"Infanzia" la serie pittorica di Lavina Nola

04.10.2023

Lavina Nola è una giovane artista romana della generazione Z. Studentessa presso l'Accademia di Belle Arti in via di Ripetta esordisce con questa prima serie di lavori dal titolo "Infanzia" che sarà presto presentata al pubblico nell'omonima mostra.

La ricerca iconografica conduce lo spettatore in un viaggio all'interno della memoria dell'artista, nella sua infanzia. La scelta dei soggetti e la loro restituzione nella resa coloristica contribuiscono a creare un'aura di spensieratezza e di gioia di fronte a questi lavori. La rievocazione del passato della nostra pittrice viene così tinta da una nota, molto leggera, di rosa che si frappone tra il modello rappresentato e il ricordo stesso, come una sorta di velo semitrasparente che lascia intravedere cosa si cela al di sotto e che, nello stesso tempo, arricchisce l'opera di quel sincero trasporto emotivo che l'ha ispirata. Ecco dunque riaffiorare alcuni ricordi lontani, antichi, che scavano nella memoria dell'artista per tornare a galla, avvolti dalla patina del tempo che vi si sovrappone caricandoli di un valore affettivo sempre più forte. Questi ricordi vengono sintetizzati in specifici giochi come la bambola Susanna, il peluche di Furby o un pupazzetto della collezione degli Occhiolotti, e in certi dolci tra i quali: l'orsetto gommoso color blu, il Chupa Chups alla ciliegia e il gelato Fior di Fragola. Immagini tratte dal quotidiano ma affrontate con il rispetto e la cura che si addice al sacro. Dietro ogni oggetto c'è una narrazione o una serie di storie che si affastellano nelle rimembranze dell'artista fino a ricreare il proprio mondo dei ricordi dell'infanzia.

Il lavoro artistico, svolto sui dieci oggetti selezionati dall'artista, parte dalla fotografia, strumento necessario per la messa in posa e per la ricerca della presenza scenica degli elementi. Ogni oggetto che diventa soggetto assoluto delle singole superfici pittoriche viene, infatti, inscenato come a teatro, come l'attore illuminato dalla luce dell'occhio di bue.

Questa serie di lavori è capace di stimolare spontaneamente un'immedesimazione nel pubblico che può rivedersi, come riflesso allo specchio, nell'infanzia della nostra. Si riattiva in questo modo anche la memoria dello spettatore che a partire dalla condivisione di alcuni simili ricordi, trova l'occasione per spolverare quella sensazione di freschezza infantile che si tende a dimenticare nella vita adulta.

Intervista all'artista:

D- Come nasce questa serie di lavori?

R-Questa serie nasce come un progetto dell'accademia. Ci avevano chiesto di lavorare alla nostra prima serie tematica in modo tale da avere già un prodotto finito da presentare per eventuali mostre.

D-Anche se nasce come un progetto universitario, la scelta delle immagini che hai trattato è stata in un qualche modo suggerita dai docenti?

R-La scelta delle immagini è personale. Questi sono una serie di oggetti che ricordano la mia infanzia: per esempio c'è l'immagine del Mordicchio che mio papà mi riportava quando tornava a casa dall'edicola quando andava a prendere il giornale, oppure Furby che è un pupazzo dei Gremlins che da piccola mi terrorizzava letteralmente, ci sono poi anche i soldatini con cui giocava papà quando era piccolo e che ho ritrovato a casa di mia nonna.

D-Perché ogni immagine è trattata due volte?

R-In accademia ci avevano chiesto di scegliere cinque oggetti che ci piacevano e cinque oggetti che non ci piacevano. Da qui avremmo dovuto scegliere un solo oggetto e avremmo dovuto rappresentarlo dieci volte. Nel mio caso ho scelto di elaborare il tema del ricordo il doppio delle volte, ben venti volte, per dare una sensazione differente in base ai materiali che poi avrei usato. Quindi ho due diverse versioni: una a pastello a olio su carta e una a olio su tela. Quando ho deciso su che cosa soffermarmi mi sono detta: perché non fare una cosa passata che mi riguardi ma che mi metta di buon umore?! E così ho iniziato a disegnare questa serie: avvolta da una nostalgia rilassata della mia infanzia.

D-Perché definisci "rilassata" questa nostalgia dell'infanzia?

R- Perché è pur sempre un capitolo chiuso della mia vita, ma nel dirlo non avverto un senso di vuoto come se mi mancasse qualcosa; mi sento, anzi, rilassata perché quel periodo è sì concluso ma, dal mio punto di vista, nel migliore dei modi e per questo mi sento in pace con me stessa e perciò ripensarci mi smuove un sorriso che parte dai ricordi del cuore.

D- Pensi che queste immagini rappresentino anche l'infanzia di oggi?

R- Onestamente no e di questo un po' mi dispiace. Credo che l'infanzia che ha avuto la mia generazione sia lontana anni luce. Oggi c'è un attaccamento alla tecnologia che noi da piccoli non avevamo. Io mi ricordo che il mio primo telefono cellulare l'ho avuto alle medie, i primi social alle superiori. Noi apparteniamo a quella generazione di mezzo che può fare il confronto tra prima e dopo Facebook che è stato il primo social a rivoluzionare sensibilmente il rapporto delle persone con il mondo virtuale. Per me il "prima" è un momento privilegiato.

D-Comunque un accenno del progresso tecnologico compare anche nella tua serie. Mi riferisco al Gameboy della Nintendo. In che modo ti poni con questa tematica?

R-Diciamo che il riferimento che ho scelto, quello del Gameboy, è un po' al limite del mio discorso. Noi siamo quella generazione di mezzo, come dicevo prima, che oltre ad aver vissuto il cambiamento progressivo della tecnologia abbiamo anche fatto da tramite per insegnare ad usare i nuovi strumenti informatici ai più grandi. Questo perché, anche noi, fin da piccoli abbiamo giocato con questi dispositivi avanguardisti. Però mi ricordo anche che quando facevo le elementari erano in pochi ad avere una console per giocare e comunque chi l'aveva sapeva benissimo che il tempo per giocarsi era limitato dai genitori. Chi ce l'aveva si guardava bene anche dal condividerlo con gli amici, a dir la verità, ma quando ci giocava si creava una sorta di pubblico, messo a semicerchio intorno al fortunato giocatore, come per goderne anche solo guardando.

D-C'è un aspetto che mi colpisce molto: guardando da vicino le due immagini ho come la sensazione di trovarmi di fronte, da un lato nell'immagine a olio, a una fotografia, dall'altro nella copia con i pastelli a olio, a un disegno più propriamente detto.

R-Esatto! Ho cercato di trasmettere due sensazioni, tra loro complementari, per la ricostruzione dei miei ricordi d'infanzia. Nell'immagine a olio ho prediletto il tatto: ho voluto restituire una specie sensazione tattile attraverso un'attenta e dettagliata restituzione dell'oggetto trattato, quasi ad esaltarne le qualità fisiche, con il risultato finale più simile a una fotografia. Mentre, l'immagine che viene fuori dai pastelli a olio esalta la vista nel senso che è il ricordo, carico del suo valore emotivo, che ritorna a galla nella memoria, portando con sé tutte le imprecisioni e le sgranature che il tempo sovrappone in una patina color seppia, nel mio caso più rosa perché i ricordi che trasmetto sono felici. Quando penso alla mia infanzia, infatti, il ricordo è colorato, in movimento, travolgente a tal punto da lasciare in bocca il sapore dello zucchero e il calore del sudore dopo aver giocato.

D-Parlando invece di te, posso chiederti quando hai deciso che avresti fatto l'artista?

R-Da sempre ho voluto fare l'artista. Fin da piccola avevo il bisogno di fare dei disegni. Sono contenta, infatti, di aver conservato tutti i disegni e i lavori in un grande raccoglitore nel quale li conservo. Essendo dislessica ho fatto un po' di fatica all'inizio ad approcciarmi alla lettura ma compensavo moltissimo con le immagini così ho sviluppato una forma di comunicazione più "pratica". Così, dopo le medie con l'indirizzo musicale e il liceo artistico Enzo Rossi sono approdata in via di Ripetta, all'accademia dove continuo a studiare.

D-Cos'è per te l'arte?

R-Secondo me l'arte è degli altri. L'artista è solo un tramite. Per me rappresenta il mio modo di comunicare con le persone e l'obiettivo centrale è l'interazione con gli altri infatti non mi piace costringere a un'unica interpretazione dei miei lavori.

D-Sebbene tu sia contraria alle definizioni schematizzanti, c'è un messaggio preciso che questa tua serie vuole trasmettere?

R-Forse, direi un senso di speranza; nel senso che queste immagini non sono che la condensazione di ricordi di infanzia, della mia in questo caso, che esistono ancora e che si possono ritrovare, anche solo guardandoli da lontano, ma solo se si è disposti a cercarli, si possono rivivere, staccando un attimo con la frenesia del presente per focalizzarsi su quei momenti semplici che sono a portata di mano, vicino al cuore.


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