Giosetta Fioroni pittore di femminilità
Prima di iniziare questa breve trattazione su Giosetta Fioroni, che focalizza l'attenzione sul lato più sentimentale e poetico/favolistico delle opere dell'artista romana, è lecito fare alcune precisazioni. Innanzitutto: perché "pittore" e non "pittrice"? In un'intervista del 2017, è la stessa Fioroni che si autodefinisce pittore, raccontando un aneddoto che la riporta agli anni Sessanta, quando, esponendo nella galleria Il Naviglio a Milano, aveva sentito un collezionista inizialmente interessato alle sue opere e poi improvvisamente disinnamorato, perché aveva scoperto trattarsi di una pittrice e per tale motivo (pregiudizio) sarebbe stato un cattivo investimento acquistare le opere di una giovane artista, perché "le donne si sposano, fanno i figli e smettono di lavorare". Da quel momento Giosetta Fioroni decise di essere un pittore, "non pittrice che suona come puttana. Pittrice non mi piace e non lo uso più." Ho voluto ricordare queste parole perché, a mio avviso, rendono palpabile il critico contesto culturale con il quale una donna artista doveva fare i conti; ma per non cadere nella tentazione di soffermarmi troppo sulla questione del genere, userò il termine artista in sostituzione del nome proprio di Fioroni; termine medievale di radice latina che sorprende per la duplice adattabilità a sostantivo femminile e maschile.
Il saggio si compone di due parti. La prima legata al concetto di femminilità delle immagini di Fioroni si concentra su alcune interviste fatte all'artista (disponibili in internet) e da alcune sue opere presenti nella mostra "IO DICO IO-I SAY I" ancora in corso alla Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma. La seconda parte, partendo dall'analisi delle opere dell'artista presenti all'interno di una retrospettiva indirizzata al pubblico di collezionisti della Scuola di piazza del Popolo, dal titolo "La buona scuola" tenuta il 17 giugno 2021 presso lo spazio Plus Arte Puls, sempre a Roma, indaga alcuni motivi stilistici ricorrenti in diversi lavori dell'artista, in special modo quelli dedicati alle poesie di Paul Celan che affrontano il tema della Memoria, evidenziati da Carla Subrizi in uno dei quattro casi studio che affronta nel suo ultimo libro "La storia dell'arte dopo l'autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi". In ultima battuta, riconoscendo alcuni segni di continuità tra le carte d'artista dedicate a Celan ed alcuni lavori presentati nella mostra "Giosetta Fioroni. Fabia di magia" tenutasi tra novembre e dicembre del '79 presso la Casa del Mantegna a Suzzara in provincia di Mantova, verrà analizzato un altro aspetto dell'opera di Fioroni, quello legato alla favola, alla fiaba. Il fine ultimo di questo studio è quello di approfondire l'opera dell'artista, sottolineando le sue peculiarità artistiche nell'ottica di una riconsiderazione della pop art romana non in chiave americana, ma nella puntualizzazione degli aspetti più sensibili ed intimi che emergono dal suo lavoro e dalle tecniche adoperate.
Per quanto riguarda la rappresentazione dell'elemento femminile, sensuale presente nelle opere di Fioroni, si evince quanto i due modi di produzione dell'immagine, quello americano e quello italiano, fossero distanti tra loro, quasi agli antipodi, tanto da giustificare lo scontento dei giovani artisti italiani che cercavano di emergere all'ombra del colosso della Pop art. La Fioroni, nell'intervista presa in esame in questo studio, fa l'esempio di Warhol che si serviva di un serigrafo per produrre le sue opere, mentre lei fedele ad un tipo di pittura "amanuense": attingendo da immagini della comunicazione di massa, ne proiettava le fotografie che ricalcava, disegnava prima l'immagine a matita e poi la riempiva con il pennello, stando sempre attenta a "restituire con la mano ciò che la mente e il cuore le suggerivano". Questo lato del suo lavoro, recepito anche come pop sentimentale, si apprezza in tutta la produzione dell'artista. I quadri d'argento, che si confrontano con le immagini di donne, dive, come nel caso della top model inglese Jean Shrimpton ritratta in Glamour del '65, o bambini; si interrogano su aspetti per così dire sentimentali dell'opera che dà forma grafica alla sensualità del mondo femminile, alla spensieratezza, alla forza immaginativa dei più piccoli e allo stesso tempo alla malinconia, alla solitudine di queste figure restituiscono (Bambino solo del '68). Giosetta Fioroni racconta della sua ricerca artistica immersa nella possibilità seduttiva dell'immagine, ovvero di creare immagini dal potente carattere seduttivo e sensuale che le donne raffigurate suscitano in chi guarda. Un'arte femminile più che femminista, che non vuole restituire una critica diretta alla società dei consumi, che oggettivizza la donna, ma che dal contesto della società dello spettacolo trae le immagini che sono portatrici dirette di emozioni, di continue esperienze femminili riconoscibili ed evocative. Nella mostra "IO DICO IO-I SAY I" curata da Cecilia Canziani, Lara Conte e Paola Ugolini alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma, tra le molte proposte accattivanti di opere di artiste italiane o italianizzate, sono esposte di Giosetta Fioroni: Ragazza TV del '64-'65 e La solitudine femminile, film del '67 con Rosanna Tofanelli Guerrieri. Entrambe le opere indagano l'universo femminile in modalità espressive diverse. La prima fa parte della serie dei quadri d'argento, dove i pieni e i vuoti dell'immagine combaciano con la presenza o l'assenza del pigmento argentato che secondo l'artista è un "colore non colore" che mette in risalto il bianco dei vuoti come metafora del nulla esistenziale soggettivo. I quadri d'argento ricordano le immagini in bianco e nero (grigie) delle riviste e dei programmi televisivi dell'epoca, motivo che passando attraverso l'industria culturale, la associa alla Pop art. Tuttavia, bisogna considerare che tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60, come ha evidenziato Calvesi, molti artisti che lavorano a Roma (Fioroni, Schifano, Kounellis, Mauri) partono dall'idea dello schermo, da quella fonte di immagini che è la televisione che a partire dal '54 entra nelle case degli italiani. Ciò che cambia radicalmente, quindi, tra la serie di Marylin o di Jackie Kennedy di Warhol e i quadri d'argento di Fioroni, è il significato profondo e le finalità interne che le definiscono: Warhol ripeteva l'immagine di un'icona, la diva di Hollywood, la first lady, con un'aura di tragicità che riporta alla morte; mentre per Fioroni non è tanto l'icona quanto una femminilità seduttiva che dalla solitudine della vita sfocia nella rappresentazione artistica. La seconda opera presente in mostra è un film d'artista e già questo aspetto legato al medium che veicola il messaggio colpisce per l'audacia della scelta da parte di una donna artista. È il desiderio espressivo di Giosetta Fioroni che l'ha portata ad andare oltre il segno stilistico che più l'ha definita o l'ha resa celebre come nel caso dei quadri d'argento (alla 32° Biennale del '64, Fioroni presenta Immagine del silenzio"), sperimentando l'uso degli strumenti che la nuova società dei consumi le forniva. In questo film del '67 l'artista riprende Rosanna Tofanelli Guerrieri in una stanza semioscura, seduta di fronte allo specchio, una luce fioca e soffusa illumina il riflesso della donna intenta a compiere una serie di azioni legate alla cura femminile: si trucca, si pettina, si strucca, si mette gli occhiali e li toglie e così via. Azioni che non criticano palesemente i canoni estetici di bellezza femminile a cui la donna dovrebbe sottostare, soffermandosi su semplici gesti che affascinano ed erotizzano il desiderio maschile. Chi guarda entra come voyeur all'interno di uno spazio privato, in un momento intimo, altamente personale. Un'altra occasione di sperimentazione simile si riscontra nel lavoro di Fioroni all'interno della rassegna "Teatro delle mostre" tenutasi nel '68 (dal 6 al 31 maggio) a Roma presso la galleria di Plinio De Martis La Tartaruga. L'opera, che inaugura la serie di mostre della durata di un giorno per artista, si intitola Spia ottica. Una porta chiusa, traforata da uno spioncino con una lente a binocolo rovesciato svela l'interno di una stanza in cui l'attrice Giuliana Calandra compie gesti intimi e quotidiani. Quest'opera presenta una forte vicinanza con Étant donnés, ma il fatto è del tutto casuale poiché l'opera di Duchamp, concepita già nel 1946 a New York, è stata esposta la prima volta il 17 luglio del 1969 presso il Philadelphia Museum of Art, ovvero dopo la morte dell'autore avvenuta il 2 ottobre del '68. In entrambe le opere la visione (di chi guarda) è limitata da piccoli spioncini ma ciò che le differenzia è la presenza di una donna in carne ed ossa nel lavoro di Fioroni e di un manichino in quello di Duchamp, la prima con un carattere sensuale, il secondo con un approccio sessuale di potenza dirompente.
Nella retrospettiva "La buona Scuola. Omaggio alla Scuola di Piazza del Popolo" curata da Romina Guidelli, le opere presenti della Fioroni sono tutte datate dopo il 2000: Volto corallo (2018), Volto giallorosso (2019), Cuori e fiori (2016), Ritratto di bambina (2003) e Lente amnesie (2008). Queste due ultime opere, di grandi dimensioni rispetto ai primi tre quadri che rappresentano volti femminili accennati dai colori che riempiono le forme fatte con gli stencil; hanno un carattere sentimentale ed evocativo, allo stesso tempo, molto forte. Sono immagini misteriose connotate da un forte senso narrativo restituito dall'uso di materiali aggettanti che vengono inseriti in Lente amnesie, incollati sulla superficie della tela dipinta ad olio, rendendo sentimentale anche l'uso di stencil realizzati dall'artista e per questo non impersonali. In Ritratto di bambina la sagoma colorata di bianco di una bambina si pone in primo piano, in un atteggiamento di esclusione rispetto al proprio osservatore. Dà le spalle e guarda oltre il secondo piano della superficie dove si erge una forma a metà tra un tempio e una galleria attraversata dalle rotaie che la bambina percorre con lo sguardo. In alto a destra la forma semicircolare che ricorda un'enorme luna calante o una falce, riappare in Lente amnesie che si caratterizza per la presenza quasi assoluta del bianco interrotto da brevi, brusche pennellate lineari nere. In quest'opera la sagoma grigio chiaro di un soldato, come si evince dall'elmetto appena sotto una specie di cornice che ne perimetra lo spazio circostante, si erge in piedi occupando gran parte della tela, sulla cui estremità inferiore sono sovrapposti una serie di oggetti rimediati e incollati sopra: una collana di perle, dei pezzi di specchio rotto, una lattina schiacciata, un soldatino minuscolo, quasi impercettibile che si arrampica in basso a sinistra. Lente amnesie è un confronto con le tematiche della guerra, già rintracciabile in alcuni lavori del '74 come ricorda Fabio Belloni nel suo saggio su Stampo virile di Vettor Pisani, pubblicato su Memofonte nel 2018; nei quali Giosetta Fioroni attinge figurativamente da un atlante di medicina legale, estrapolando le foto della Germania hitleriana. Il motivo della guerra, del dolore, del passato, della memoria si ripropone nelle carte d'artista dedicate al poeta Paul Celan. Nella prima carta del 1999 Invano, l'artista ripropone in corsivo l'intera poesia di Celan dalla quale prende il titolo. La poesia ha un forte senso drammatico e malinconico, presagisce la guerra o la ricorda (come se fosse appena passata) con singole immagini che hanno nella loro sintesi una potenza comunicativa inequivocabile. Il duca del silenzio recluta soldati che andranno a morire, mentre chi rimane, invano disegna cuori sui vetri delle finestre di casa. Fioroni oltre a riscrivere la poesia pone al suo interno l'immagine di un grande cuore che sovrasta la forma stilizzata di una casa che accenna alla presenza di una finestra ed una porta. Quest'opera e altri Fogli in forma di libri e altre carte per Paul Celan, di qualche anno dopo (2010) compaiono nella mostra a La Diagonale/Libreria a Roma, lo stesso anno. Pur considerando il contesto atroce che spinge Celan a liberarsi del dolore della perdita dei genitori nel campo di concentramento, dagli orrori della guerra che ha vissuto sulla propria pelle in quanto ebreo rumeno; affascina l'attenzione che Giosetta Fioroni pone su questi lavori. I due motivi iconografici, il cuore e la casa, vengono più volte interrogati dall'artista come dimostrano i lavori esposti nella mostra "Fiaba di magia" del '79. Infatti, nella sezione dei collages sulle fiabe del '76/'79, Casa traghetto del '77 ricorda pienamente la casa presente nella prima opera dedicata a Paul Celan. Anche il cuore, compare in una serie di lavori verbo-visivi, a metà tra una fiaba e un diario segreto vengono presentati alcuni fogli che dimostrano la sovrapposizione o la coordinazione tra parola e segno iconico: l'immagine del cuore sostituisce la parola che lo significa, talvolta la affianca, così vale anche per la casa in campagna, il cui messaggio è veicolato dall'immagine e dalla parola che ne determina il complemento di stato in luogo. Pochi altri disegni si sovrappongono alla scrittura: stelle e mano, un rubino e ancora cuori. Le parole si fanno poi più grandi, scritte direttamente in stampatello maiuscolo per aumentarne la percezione visiva. All'interno della mostra erano presenti anche una serie di tele in argento ispirate alle illustrazioni di un libro di favole dei fratelli Grimm, tra le quali La guardina di oche, Biancaneve, Rosaspina del '68/'69. L'importanza della vicinanza con Goffredo Parise, compagno di una vita, si fa lampante in questi lavori che affrontano un immaginario, più folcloristico e meno pop, legato oltre che alla fiaba anche alle leggende degli Spiriti della campagna veneta (Orzimbi, Salbani, Omiciattoli, Babe) di cui Parise era originario. I lavori affrontati, in questa seconda parte, condividono un'idea di memoria, di un passato che sfugge, che impedisce di vedere e di capire quel "qualcosa di irraggiungibile" che la poesia, la parola scritta restituiscono e che l'arte "trascrive".
Questo approfondimento mi ha dato modo di scoprire un'artista molto devota al suo lavoro a tal punto da non averlo mai abbandonato nonostante la veneranda età. Quando vidi che alcune delle opere di Giosetta Fioroni presenti alla retrospettiva della Scuola di piazza del Popolo, erano datate 2018-2019, pensai che fosse la prova definitiva dell'autenticità del sentimento con cui Fioroni dà vita alle sue immagini. Sebbene Fioroni non abbia mai aderito al movimento femminista che pochi anni dopo i suoi esordi, si sarebbe costituito a Roma grazie a grandi donne quali Carla Lonzi e Carla Accardi; i suoi lavori popolati da donne glamour, belle ragazze tv, eroine delle fiabe, fate e bambine sono immagini evocative di una narrazione legata alla testimonianza della cultura di una determinata epoca con una leggera critica appena percettibile. Tuttavia, la netta differenza che si osserva tra le opere della così detta pop romana e quella americana, si trova nel procedimento artistico che determina la realizzazione dell'immagine, un vero e proprio atto creativo appartenente alla tradizione pittorica europea. A tal proposito è la stessa Fioroni, riferendosi ai propri quadri, a dire che sono "più vicini a certi quadri tonali di Giorgio Morandi" piuttosto che ad Andy Warhol, proprio per le qualità tecniche che essi dimostrano. Sembra come se l'eredità del pittore e incisore bolognese, scomparso nel '64 fosse stata recepita da Fioroni che a differenza delle nature morte geometriche e tonali del precursore, riporta sulla tela immagini di femminilità. Concludo con una nota personale. È interessante notare che il mercato, convinto di poter decidere le sorti dell'arte, deve ridimensionarsi e confrontarsi con i nuovi approcci e le nuove scoperte in campo accademico per mantenere i suoi interessi. Ebbene "La Scuola di piazza de POPolo. Pop o non pop?" un'altra mostra romana sull'argomento, curata da Gabriele Simongini presso la galleria Monogramma arte contemporanea in via Margutta a Roma (2021), già nel titolo si pone come ennesimo momento di indagine che cerca di soffermarsi sull'eterogeneità degli artisti di quel momento. Non è certo una rivelazione per gli addetti ai lavori che sapevano e sanno che la Scuola di piazza del Popolo più che un movimento artistico è stato un modo di individuare un gruppo all'interno del contesto di divergenze e convergenze con la scena artistica americana contemporanea, con uno scopo puramente economico.
Francesca Bisogni
Bibliografia
Catalogo della mostra "Giosetta Fioroni. Fiaba di magia. Opere 1962-72", Casa del Mantegna Galleria Civica, Comune di Suzzara, Provincia di Mantova, novembre-dicembre 1979
Belloni Fabio, Stampo virile. Vettor Pisani e Claudio Abate nel 1970. In "Studi di Memofonte, rivista on-line", numero 21/2018. Fondazione Memofonte, pag.19
Conte Lara, Materia, corpo, azione. Ricerche artistiche processuali tra Europa e Stati Uniti 1966-1970, Electa, Milano, 2010, pag. 50
Subrizi Carla, Introduzione a Duchamp, Editori Laterza, Roma, prima edizione 2008, ristampa 2020, pag. 129-131
Subrizi Carla, Reinventare gli immaginari dell'esilio. Giosetta Fioroni. In "La storia dell'arte dopo l'autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi", Lithos editrice, Roma, 2020, pag. 99-113
Sitografia
Cataldi Federico regia di, Intervista a Giosetta Fioroni in "L'Italia unita nell'arte", 13 settembre 2017
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